Una tesi sugli effetti della nuova legge sugli stranieri
"Le persone in assistenza
non si sentono al sicuro"
ANDREA STERN
Quando aprono la busta, restano tutti senza fiato. "Hanno paura, si sentono sotto pressione - spiega Mara Sprecher, laureanda in scienze sociali alla Zhaw di Zurigo -. È la prima volta che si trovano confrontati a una situazione del genere. Dopo magari decenni in Svizzera, non si sentono più al sicuro".
Mara Sprecher è l’autrice di quella che è probabilmente la prima tesi sugli effetti della nuova legge federale sugli stranieri entrata in vigore a inizio 2019. Una legge che, tra le principali novità, introduce la possibilità di revoca del permesso a causa della dipendenza dall’assistenza pubblica anche nei confronti di chi vive in Svizzera da più di quindici anni. Una soglia che, in precedenza, dava la garanzia di poter restare, a meno che non si commettessero gravi reati.
Ora invece per essere cacciati può essere sufficiente perdere il lavoro e ritrovarsi in difficoltà finanziarie. Almeno nel canton Zurigo - dove è stato effettuato lo studio cui si riferisce la tesi - i servizi sociali segnalano alle autorità migratorie tutte le persone con permesso B il cui debito nei confronti dell’assistenza pubblica supera i 25mila franchi, così come tutti i detentori di permesso C che devono più di 40mila franchi allo Stato.
"Queste persone - osserva Sprecher - ricevono un questionario con una trentina di domande, che dovrebbe servire a meglio delineare la loro situazione. Poi, a dipendenza delle risposte, le autorità migratorie lasciano perdere oppure emettono un avvertimento nei confronti della persona in assistenza. Gli concedono un anno di tempo per migliorare la propria situazione finanziaria ed evitare così la revoca del permesso di soggiorno".
Non è facile. Ma il lato positivo è che qualcuno ci riesce. "Si osserva - nota Sprecher - che la nuova legge incentiva le persone a inserirsi nel mercato del lavoro. Una parte delle persone che ricevono l’avvertimento riesce a trovare un impiego, anche se a volte con condizioni precarie e salari inferiori al minimo vitale".
Altri invece non ce la fanno. "In molti - prosegue Sprecher - hanno problemi di salute che rendono difficile un loro reinserimento. Ma per le autorità migratorie, se non beneficiano di una rendita Ai significa che sono in grado di lavorare".
Questi sono i casi più delicati. Così come quelli delle persone che per paura di essere cacciate dalla Svizzera rinunciano agli aiuti cui avrebbero diritto. Secondo uno studio svolto nel canton Berna nel 2016, quindi prima dell’entrata in vigore della nuova legge, a declinare l’aiuto dello Stato è il 26,3% dei potenziali beneficiari di aiuti sociali.
20.02.2021